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Recensioni - libri, riviste e film sul sociale
| Torna all'elencoLa mia ′ndrangheta
Autore: Rosy Canale, Emanuela Zuccalà
Editore: Paoline Edizioni
Prezzo: 19,90
Voto:
Se siete in libreria e vi capita sotto gli occhi questo libro, non fatevi scoraggiare dalla copertina nera e cupa e dal titolo rosso sangue.
Contrariamente alle apparenze, questo non è il solito libro sulla mafia.
E′ invece un libro pieno di colori, che racconta la meraviglia della Calabria, della Locride e delle donne e degli uomini che la abitano. Dal punto di vista - particolare - di Rosy Canale, autrice e protagonista di una storia che merita di essere conosciuta.
Lei è un′irrequieta ragazza di Reggio Calabria, lunghi capelli rosso Malboro, jeans attillati taglia extrasmall, stivali dall′immancabile tacco tredici, 35 sigarette al giorno. Additata come pazza o zoccola solo perché rifiuta di omologarsi, Rosy si sente intrappolata, come dentro una serie di prigioni concentriche, da una mentalità familiare e sociale che non le appartiene.
D′istinto e con una crescente consapevolezza, la «signora Malaluna» (come la chiamano a Reggio) sfida la ′ndrangheta e decide - all′indomani dell′eccidio di Duisburg - di trasferirsi a San Luca, un paesello di quattromila abitanti alle pendici dell′Aspromonte.
L′epicentro del male: da qui è infatti partito l′ordine della strage in Germania.
Qui sono le basi logistiche e le residenze dei boss protagonisti della faida.
Qui, soprattutto, ci si rende conto di quanto siano fuorvianti i cliché giornalistici. «C′è il mondo - scrive Rosy - e poi c′è San Luca. Che è fuori dal mondo. Un′altra entità, dotata di una sua organizzazione sociale e mentale che fa capo soltanto a San Luca e si articola lungo due velocità: l′arretratezza culturale e l′avanguardia del malaffare».
A San Luca Rosy incontra donne straordinarie: come Teresa, che, perdonando gli assassini di suo figlio e di suo fratello, si veste scandalosamente di bianco al loro funerale; Saveria, maestra di telaio antico, laboriosa ed orgogliosissima dell′onestà della propria famiglia; Maria, giovane, pulita, autentica, un vero e vivace talento artistico; Annalisa, alta e sottile, libera, sfrontata, con la passione per il giornalismo e per lo smalto viola; Saverina, che sembra una bambola di porcellana, dai modi sempre gentili e un gusto innato per i decori.
In 400 si uniscono e fondano il movimento che punta alla rinascita del loro paese. Sono madri, mogli e sorelle delle vittime di ′ndrangheta e dei loro carnefici. Unite dalla bellezza dei loro volti e sguardi, dalla volontà di affermare il valore della vita e dalla necessità di seppellire le logiche della vendetta insieme al detestato nero dei continui ed interminati lutti.
Con Rosy inventano un nuovo modo di essere e di fare antimafia. Ed è questa la vera cifra della loro storia. «Il nostro - raccontano - è stato un percorso pratico, senza tentazioni filosofiche: cercavamo di coinvolgere la popolazione di un comune ad alto tasso delinquenziale in attività che schiudessero scelte di vita alternative. Un lavoro lungo, complesso, privo di proclami eclatanti. Non sempre gratificante. Ma l’unica base da cui realmente partire.
Esistono luoghi immobili come le montagne dove chi spera d’invertire i destini non può presentarsi con la pretesa di attribuire alle cose la loro etimologia reale, né invocare l’evidenza della storia e della cronaca. Non può puntare il dito stilando la lista dei cattivi e parlare alla gente con la propria logica senza preoccuparsi della loro logica e della loro storia, sebbene quelle coordinate etiche e cognitive distino anni luce dalle nostre, e spesso ne siano contrapposte. Possiamo chiamarla complicità, omertà, ma indossando uno sguardo speciale, acuto e colmo di empatia, è possibile afferrare la scintilla che preme sotto il sedimento, portarla alla luce, farne fuoco».
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